Abbazia di Nonantola - Museo Benedettino e Diocesano d'Arte Sacra Tel. 059.549025 - info@abbazianonantola.it

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LA BASILICA ABBAZIALE

Il Museo Benedettino e Diocesano d'Arte Sacra

L'Archivio e la Biblioteca dell'Abbazia di Nonantola

Basilica

I SETTE SANTI DELL’ABBAZIA

 

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silvestrowebSAN SILVESTRO I PAPA (31 DICEMBRE)

Il culto per San Silvestro è certamente il primo che si sviluppò in abbazia ed è legato all’arrivo delle sue reliquie a Nonantola nel 756, anno in cui i Longobardi le prelevarono furtivamente dalle catacombe di santa Priscilla lungo la Via Salaria. Le reliquie di papa Silvestro I rimasero nell’altare centrale della cripta, fino al 22 ottobre 1444, quando l’abate Gian Galeazzo Pepoli le traslò solennemente a motivo delle filtrazioni d’acqua che allagavano la parte bassa della chiesa e che poi portarono alla decisione di interrare la cripta. Fu allora che le reliquie sante furono collocate nel presbiterio della parte superiore, all’interno di un’apposita costruzione sopraelevata dell’abside di meridione, poiché l’altare maggiore già custodiva le reliquie di Sant’Anselmo e di Sant’Adriano III.

Una ricognizione delle ossa del santo papa fu eseguita il 24 settembre 1475, alla presenza del vescovo di Tripoli, per ordine dell’abate commendatario Gurone d’Este, a cui seguì una solenne esposizione fino al 3 ottobre dello stesso anno.

Il 23 febbraio 1580, su mandato dell’abate commendatario cardinale Guido Ferreri, venne inaugurato il maestoso mausoleo di San Silvestro, eretto dietro l’altare maggiore per legato testamentario del conte Guido Pepoli. Composto di tre parti sovrapposte, accolse le reliquie del titolare della basilica nella parte superiore, che presentava le storie del santo nelle otto formelle di marmo bianco dello scultore Jacopo Silla dé Longhi. La parte più bassa, invece, ospitò le reliquie dei santi nonantolani, ossia Anselmo, Adriano III, Fosca, Anseride, Senesio e Teopompo. La parte centrale fu destinata ad ospitare i preziosi pezzi che ancora oggi compongono il tesoro abbaziale. Fu grazie a questa custodia che i tre codici miniati dell’archivio, unici rimasti a Nonantola, poterono essere conservati a Nonantola, senza essere dispersi o ceduti ad altri. Erano, infatti, chiusi all’interno di questo mausoleo da due grate con lucchetti, le cui chiavi erano in possesso del solo abate commendatario e del priore del monastero.

La situazione restò tale fino al 1913, quando il monumento fu scomposto durante i lavori di ripristino dell’impianto romanico della basilica diretti da don Ferdinando Manzini. Le reliquie furono portate in sagrestia ed il 9 luglio 1914 ne fu fatta una ricognizione. In quell’occasione furono tolte dall’antica urna lapidea, oggi esposta presso le sale del Museo Benedettino e Diocesano d’arte sacra, e raccolte in una modesta urna lignea con vetri, per essere conservate nel palazzo abbaziale, nella cappella del seminario.

Successivamente, su iniziativa di monsignor Francesco Gavioli, lo scultore nonantolano Paolo Sighinolfi realizzò nel 1991 due teche di bronzo e vetri per ospitare una le reliquie di San Silvestro e l’altra le ossa degli altri santi nonantolani. Le teche furono poste nei due altari maggiori della basilica, quelle del papa nel presbiterio alto, e quelle dei santi nonantolani in cripta. Un avambraccio del santo papa fu prelevato nel 1372 per realizzare la lipsanoteca creata dall’orafo Giuliano da Bologna su incarico dell’abate Tommaso de’ Marzapesci, ora esposto presso il museo, oggetto liturgico ancora oggi utilizzato il 31 dicembre di ciascun anno, per impartire la benedizione solenne al paese di Nonantola.

Oltre alle lastre marmoree che decorano l’altare maggiore, la devozione a San Silvestro è testimoniata anche da due formelle dello stipite del portale di ingresso: una presenta il trasporto,  delle reliquie del papa, da Roma a Nonantola, su una portantina sostenuta da due cavalli. L’altra, invece, raffigura da deposizione del corpo dentro un’arca all’interno della basilica. L’immagine del santo appare, poi, all’interno della basilica, nel grande affresco della parete sud, ai piedi della scala laterale che conduce sul presbiterio alto. Infine, San Silvestro è presente nel polittico di Michele di Matteo del XV secolo, un tempo collocato dietro l’altare maggiore ed oggi ospitato nel museo.

I monaci nonantolani diffusero il culto di San Silvestro in un gran numero di loro pertinenze, unendo in tal modo la valorizzazione del proprio santo titolare alla demarcazione dei propri territori.

anselmoweb SANT’ANSELMO ABATE (1 MAGGIO)

Anselmo è uno dei personaggi più imponenti del monachesimo dell’Alto Medioevo e l’unico santo longobardo di cui ci siano pervenute notizie certe.
Si suppone che Anselmo sia nato verso il 720 a Cividale o Vicenza, figlio di Wectari di Vicenza, duca del Friuli, era fratello di Giseltrada sposa di re Astolfo (749-756) e di Aidin con cui possedeva insieme, beni terrieri a Verona e Vicenza (documenti del 797 e 820).
Fu per qualche tempo anche duce del Friuli; nel 749, Anselmo però lascia tutte le attività e cariche politiche per dedicarsi ad una vita di santità; lascia il Friuli risalendo la valle dell’Alto Panaro, dove il cognato re Astolfo, gli dona la terra di Fanano e qui si ferma a fondare un cenobio per accogliere i monaci che ormai gli si erano radunati attorno e più in alto verso il passo di S. Croce Arcana, apre un ospizio per pellegrini che prende il nome di S. Jacopo di Val d’Amola.
L’opera di accoglienza dei pellegrini, molto numerosi nella valle, che era uno dei passaggi obbligati tra il Nord e la Toscana, costituisce un impegno primario e nessun pellegrino deve allontanarsi senza avere ricevuto con misericordia ogni assistenza.
Nel 751 il re Astolfo che comunque aveva mire espansionistiche, aveva occupata Ravenna e dona ad Anselmo un altro territorio di nome ‘Nonantolae’, che controllava le strade che da Verona e Piacenza scendevano a Bologna.
Il santo abate e i suoi monaci, si danno da fare per costruire una chiesa e il monastero, bonificando e coltivando quelle terre ormai abbandonate e incolte, producendo un vantaggio economico e sociale a tutta la regione. Nel 757 prese il potere del regno longobardo il bellicoso Desiderio: Anselmo venne rimosso da Nonantola ed esiliato a Montecassino. Non sappiamo quanto sia durato tale esilio, forse fino al 774 quando Carlo Magno assoggettò i Longobardi. 
Anselmo, dopo una breve malattia, circondato dai suoi monaci a cui rivolse le ultime esortazioni e diede un’ultima benedizione, spirò tra le loro braccia, a Nonantola il 3 marzo 803.

52 S Adriano Nonantola web SANT’ADRIANO III PAPA (8 LUGLIO)

Molto poco conosciamo invece della vita di S. Adriano III.
Il Liber Pontificalis ci dice soltanto che era romano, figlio di Benedetto, e che governò la Chiesa per un anno soltanto, dall'884 all'885.
I pochi dati biografici riguardano il racconto della sua morte, della sepoltura e dei miracoli compiuti.
Gli Annales Fuldenses all'anno 885 riferiscono della partenza di Adriano III da Roma, della sua morte e sepoltura nel monastero di Nonantola.
Nell’anno 885, mentre si dirigeva verso la Germania per incontrare l’imperatore Carlo il Grosso, papa Adriano III trovò la morte in un luogo definito dalle fonti “Wilzachara”, corrispondente verosimilmente ai luoghi dove oggi sorgono Spilamberto e San Cesario sul Panaro, terre di proprietà dell’abbazia.
Il suo corpo venne solennemente traslato a Nonantola, dove fece ingresso dalla porta della Torre dei Bolognesi, e sepolto nel monastero nonantolano.
Difficile è collocare l’origine del culto per il secondo papa venerato a Nonantola.
E’ certo che la morte del pontefice nel territorio nonantolano e la sua sepoltura nella chiesa abbaziale devono avere favorito un certo rispetto ed una certa venerazione del popolo e dei monaci nei suoi confronti.

senesio castelvetro SANTI SENESIO E TEOPOMPO MARTIRI (21 MAGGIO)

Povere sono le notizie storiche relative ai due martiri. Di certo possiamo dire che, sulla base dei Sinassari orientali, che essi facevano parte dei 3.000 cristiani che subirono il martirio nel 303 durante l’ultima persecuzione di Diocleziano a Nicomedia, l’attuale cittadina di Izmit, presso Costantinopoli.

Stando ad un’antica tradizione, Vescovo di Nicomedia, fu sottoposto a molteplici supplizi per indurlo all’abiura, come il fuoco, l’avvelenamento, l’accecamento, rimanendo miracolosamente illeso. Il giudice, volendo dimostrare che tali prodigi erano alla portata anche dei pagani, convocò il mago Teonas, il quale, però, non solo si dichiarò vinto, ma chiese di aderire al Cristianesimo: pertanto, egli ricevette il battesimo dallo stesso vescovo Teopompo, che gli impose il nome di Senesio. I due subirono il martirio insieme: Teopompo fu decapitato mentre Senesio venne sepolto vivo. Il culto per i due martiri si estese non solo in Oriente, ma anche in Occidente.

Il culto dei martiri Senesio e Teopompo probabilmente si diffuse all’inizio dell’XI secolo ed è, dopo quello per Silvestro, il più ricorrente nei testi liturgici nonantolani dei secoli XI-XII: l’Evangeliario della Contessa Matilde di Canossa, conservato nel tesoro dell’abbazia, riporta un Oremus per la festa dei Santi Senesio e Teopompo, “quorum hic corpora pio amore amplectimur”; la festa dei santi martiri è celebrata nel Graduale dell’XI secolo.

Stranamente, però, mentre le figure di Anselmo, Adriano e Silvestro si succedono nelle formelle del portale della basilica, non è rimasta alcuna traccia iconografica del culto di questi santi.

La Traslatio nonantolana narra che fin dal 780 il conte Gerardo aveva fondato a Treviso la chiesa di Santa Fosca e l’aveva sottoposta al cenobio nonantolano. Dopo che gli Ungari ebbero devastato quella chiesa, l’abate Pietro III (907-913) provvide a fare trasferire i corpi dei Santi Senesio e Teopompo, lì sepolti, a Nonantola.
Ciò avvenne intorno al 911. Le reliquie erano state amorosamente custodite in un luogo segreto da una certa Anseride, definita “Dei ancilla”, e in questo modo sottratte alla furia dei barbari.
Quando esse giunsero a Nonantola avvennero molti miracoli, dei quali solo alcuni vengono narrati: in genere si tratta di guarigioni collettive o miracoli atmosferici, avvenuti portando in processione i santi corpi.

Il trasporto delle reliquie era un fatto abituale, da quanto il testo agiografico ci lascia comprendere: per fare cessare epidemie, per chiedere un buon raccolto, o semplicemente acqua per irrigare i campi. Ricordiamo in particolare il miracolo compiuto intorno alla metà del X secolo a Pavia, dove si diffuse una terribile pestilenza: vennero allora richieste in prestito al monastero nonantolano le reliquie dei due Santi, considerate taumaturgiche. Un corteo di moltissime persone accompagnò le spoglie alla città colpita dal flagello e subito la malattia scomparve.

La città di Pavia avrebbe allora, in segno di riconoscenza per il beneficio ricevuto, donato al monastero la preziosa cassetta, che ancora oggi custodisce i crani dei Martiri. Una cronaca del 1100 riferisce che in occasione di una grande pestilenza anche gli abitanti di Modena sarebbero venuti a prelevare la lipsanoteca e l’avrebbero esposta per la venerazione in duomo; lo stesso avrebbero fatto per la grande pesta del 1630, di manzoniana memoria.

Nell’anno 830 una parte delle reliquie dei due martiri furono prelevate da Treviso e portate da San Ratoldo a Radolfzell, sul Lago di Costanza, paese con cui Nonantola condivide un gemellaggio spirituale per la custodia e la venerazione dei corpi dei due martiri.

Croce abate Morimondo s fosca SANTA FOSCA VERGINE E MARTIRE (13 FEBBRAIO)

Scarsissime sono le informazioni a nostra disposizione.
Il martirio avvenne al tempo della persecuzione dell’imperatore Decio (III secolo).
A Nonantola è venerata una piccola reliquia della santa.
Il suo corpo riposa al Torcello a Venezia.

 

 

 

 

 

SANT’ANSERIDE VERGINE (26 APRILE)

Il suo nome ed il suo culto non ebbero mai grande diffusione se non in ambito locale: la sua vicenda è strettamente connessa al racconto della traslazione dei resti dei santi Senesio e Teopompo dalla chiesa di santa Maria di Treviso a Nonantola. La sua figura è esaltata poiché si adoperò per la salvaguardia delle preziose reliquie dei martiri nascondendole durante il funesto periodo delle invasioni ungariche. La vicenda comprende il racconto di un evento miracoloso secondo il quale l’imbarcazione sulla quale i monaci nonantolani – incaricati dall’abate Pietro III di recuperare le reliquie – si stavano allontanando da Treviso, fu respinta al punto di partenza da un forte vento per dar modo ad Anseride di accompagnare le reliquie nel loro viaggio verso Nonantola. Qui giunse Anseride, conducendo una vita ritiratissima, dedita alla preghiera ed alla contemplazione, vivendo in una modestissima abitazione.

 

L’INSIGNE RELIQUIA DELLA SANTA CROCE

Secondo le fonti attualmente a nostra disposizione, la reliquia della Vera Croce fu lungamente cercata con cura da S. Elena, e quando fu certa di averla ritrovata e sicura della sua provenienza ne fece tre parti: una la lasciò alla Chiesa di Gerusalemme, un’altra la inviò a Roma e la terza la mandò a suo figlio, imperatore di Costantinopoli.

Quest’ultima giunse poi a Nonantola poiché l’imperatore la donò, in segno di gratitudine, ad alcuni monaci recatisi a Costantinopoli per un’ambasceria in rappresentanza di Carlo Magno e degli imperatori carolingi. Il legno misura 29 cm di altezza e 18 di larghezza, ed ha uno spessore di 2 cm. La prima elaborazione del legno risale al X-XI secolo, ed è in stile bizantino.

Una lamina d’oro pallido la avvolge, lasciandovi un’apertura cruciforme sulla facciata, permettendo di vedere il sacro legno. Sulla faccia anteriore vi sono cinque dischetti circolari contenenti particelle di terra dei luoghi della Passione di Cristo.

Sul retro vi sono sei dischi smaltati raffiguranti le effigi di Santi della Chiesa Orientale. La stauroteca esterna fu realizzata nel 1679 per volontà dell’abate commendatario cardinale Jacopo Rospigliosi. Il piede, invece, fu creato dall’orafo bolognese Finelli durante l’abbaziato del cardinale Sebastiano Antonio Tanara.

La devozione dei nonantolani per questa insigne reliquia si è manifestata soprattutto quando la nostra terra fu colpita da calamità. Sono diverse le attestazioni di speciali processioni compiute in difficili circostanze. Ricordiamo, ad esempio, quella del 10 Giugno 1755 per ottenere una tanto attesa pioggia, raccontataci da Don Andrea Placido Ansaloni. Fin dalla notte precedente al giorno fissato per la processione penitenziale cominciarono ad affluire a Nonantola genti da ogni dove.

Molto numerosa ed ordinata fu la partecipazione delle Confraternite di Crevalcore, Castelvetro, Camposanto, Camurana, Cavezzo, San Pietro in Elda, Sassuolo e Modena. Compatta fu la partecipazione delle Confraternite di Nonantola, Redù, Bagazzano, Rubbiara, Gaggio, Recovato, Rastellino e Panzano. In tutto intervennero 76 Confraternite con 117 stendardi. Alle 10.30 venne celebrata la Santa Messa in canto gregoriano alla presenza di tutte le autorità ecclesiastiche, civili e militari. Dopo la Messa seguì la processione, a cui partecipò anche il Vescovo di Modena ed il Vicario dell’Abate commendatario cardinale Albani. Il corteo uscì dall’Abbazia accompagnato dalla banda musicale, si avviò verso la Partecipanza seguendo Via Prati.

Giunto all’incrocio con Via Cantone si fece una sosta e venne impartita una prima benedizione col legno della Croce; poi, seguendo Via di Mezzo, si tornò in paese, dove venne data una seconda benedizione nella piazza centrale. Alle 14,30 il corteo giunse davanti all’Abbazia, e qui venne data una terza ed ultima benedizione. Fu allora che iniziò a scendere la pioggia, tra il giubilo dei partecipanti. Si calcolò che la folla intervenuta a Nonantola in quell’occasione superasse le tremila persone.

Oggi la stauroteca della Santa Croce è custodita nel Museo Benedettino e Diocesano d’Arte Sacra ed è esposta all’adorazione dei fedeli il 14 Settembre di ciascun anno, Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, ed il Venerdì Santo, durante la Solenne Azione Liturgica della Passione del Signore, a cui segue una processione serale per le vie del centro storico di Nonantola.

 

 

I PERSONAGGI ILLUSTRI

info cancres charlemagne1Carlo Magno ed i Carolingi

Il legame dell’abbazia con Carlo Magno ed i suoi successori è attestato nelle pergamene che ancora oggi sono conservate nell’Archivio Abbaziale. Tra i documenti più antichi, dopo alcuni che vogliono rifarsi all’età longobarda, vari sono quelli che documentano lo stretto legame che i monaci ebbero con Carlo e i Carolingi. Tre pergamene provengono dalle mani di Carlo stesso e furono accolte dalla mani del primo abate Anselmo. Il documento del 798 riporta il suo celebre monogramma mentre il placito dell’801 riporta la prima volta a mondo in cui Carlo si sottoscrisse con il titolo di “imperator” dove prima era sempre indicato come “rex francorum et langobardorum”: era stato incoronato, com’è noto, la notte di Natale dell’800.

E’ assai probabile che nell’800 i monaci dell’Abbazia abbiano accolto Carlo durante una tappa del suo viaggio verso Roma per essere incoronato imperatore: infatti, le abbazie sottoposte alla protezione del sovrano erano a tutti gli effetti nella sua disponibilità e uno dei diritti che egli poteva esercitarvi era quello di ricevere da esse vitto ed alloggio per sé e per il proprio seguito, ipotesi avvalorata anche dal fatto che nell’Abbazia di Nonantola si venerava il corpo di Silvestro, il papa dell’imperatore Costantino, e Carlo si servì della sua figura per presentarsi come alter Costantinus.

Alla concessione di ampi beni e diritti si unirono altri privilegi, non ultimo quello di eleggere autonomamente il proprio abate. L’abate Pietro, succeduto ad Anselmo, fu ambasciatore a Costantinopoli per Carlo Magno. Così il suo successore, Ansfrido, per Ludovico il Pio. Nell’837 il monastero ospitò l’imperatore Lotario, come testimoniato dallo splendido diploma di quell’anno che conserva ancora parte del sigillo imperale in cera, e nell’883 nel monastero ci fu l’incontro tra Carlo il Grosso e papa Marino.

Nel periodo carolingio, le abbazie – ed il caso nonantolano è significativo – diventarono uno strumento prezioso per la politica culturale di Carlo Magno,rivolta ad unire genti diverse - che parlavano lingue diverse e scrivevano con calligrafie differenti, che vivevano in luoghi distanti del suo impero - con gli stessi libri liturgici, gli stessi testi sacri e gli stessi canti religiosi. In un’epoca in cui pochi sapevano leggere e scrivere, fu necessario rivolgersi agli unici conoscitori di questi saperi, i monasteri, vere e proprie isole culturali che si trasformarono in fabbriche di codici.

Il nuovo bisogno di libri condusse alla diffusione di una nuova scrittura, che dal nome dell’imperatore fu detta “minuscola carolina”, introdotta per semplificare il lavoro di copia degli amanuensi e che costituì la base di ogni successiva corsiva minuscola.

Matilde di CanossaMatilde di Canossa e i suoi avi. Papa Gregorio VII.

Del periodo dei Canossa e specialmente di Matilde rimangono una ventina di pergamene nell’archivio abbaziale.
La contessa condusse una politica ambigua nei confronti dell’abbazia: dapprima, nel 1083, essendo il monastero filoimperiale, assediò il paese spogliandolo di beni insieme alla sua chiesa.
In un secondo tempo, invece, la contessa portò avanti una politica di vicinanza alla chiesa nonantolana, come testimoniato dalla serie di donazioni che Matilde fece al monastero, facendoci supporre che fosse avvenuta una riconciliazione rispetto alla frattura precedente.
Nel 1088 venne confermato dalla contessa il possesso della chiesa di San Silvestro di Nogara; altre concessioni furono fatte nel 1103, per risarcire del danno che la contessa aveva arrecato al monastero per la sottrazione del suo Tesoro.
Nel pieno della lotta per le investiture, papa Gregorio VII (1020/1025-1085), di ritorno da Canossa, si fermò nell’abbazia il giovedì santo dell’anno 1077 per celebrare la messa crismale.
Lo stesso pontefice concesse al monastero il nuovo abate, Damiano, attorno al 1086 e lo sollevò da alcune decime che i vescovi di Modena esigevano per amministrare il sacramento della cresima.

Pope Julius IICarlo BorromeoDue ABATI commendatari illustri: PAPA Giulio II e San Carlo Borromeo

Dalla metà del Quattrocento il monastero venne costituito in commenda. Abati commendatari furono quasi sempre personaggi di primissimo piano della Curia Romana. I più celebri furono i cardinali Giuliano della Rovere, poi papa Giulio II, e San Carlo Borromeo.

Giuliano della Rovere resse l’abbazia dal 1485 al 1503, quando fu eletto al soglio pontificio col nome di Giulio II. Fu uno dei pontefici più celebri del Rinascimento. Del suo governo dell’abbazia rimangono oggi tracce nelle sale dell’archivio: in una troviamo una lunetta con un affresco raffigurante il suo stemma, in un’altra il medesimo stemma realizzato su terracotta dipinta.

Carlo Borromeo fu abate commendatario dal 1560 al 1566, nel 1563 divenne vescovo di Milano.

Pastore colto e amorevole, San Carlo dimostrò un infaticabile zelo apostolico e grande attenzione verso i poveri e gli emarginati. Strenuo sostenitore del rinnovamento religioso sancito dal Concilio di Trento (1545-1563), fondò seminari, edificò ospedali e ospizi, riorganizzò parrocchie e vicariati, promuovendo iniziative per la formazione del clero e l’istruzione del popolo. Il seminario nonantolano, poi illustre nei secoli, fu fondato da lui con parte dei beni della sua famiglia.

Durante la peste di Milano (1576) si prodigò per assistere i malati. Morì a soli 46 anni, stremato dalle fatiche e dalla febbre.

Il culto per San Carlo Borromeo è molto diffuso in tutta Italia, di conseguenza anche la sua rappresentazione nelle opere d’arte vanta numerosi esemplari: a Nonantola lo vediamo raffigurato in vari dipinti, tra cui nella celebre pala di Ludovico Carracci esposta nel museo.

VISITA L’ABBAZIA

 

PLAN ABBAZIA NUMERI MUSEO

MAPPA DELLA BASILICA AbbaziaLE di Nonantola

 

Legenda

1 - FACCIATA
2 - PORTALE CON LUNETTA DI WILIGELMO (SEC. XI-XII)
3 - NEL PRESBITERIO: ALTARE MAGGIORE CON LE RELIQUIE DI SAN SILESTRO, REALIZZATO DALLO SCULTORE SILLA DE’ LONGHI (SEC. XVI)
4 - FONTE BATTESIMALE (SEC. VIII - XII)
5 - STATUA DI SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE, SEC. XVI
6 - CROCEFISSO LIGNEO (SEC. XV)
7 - AFFRESCO CON MADONNA ED ANGELI, AMBITO FERRARESE (SEC. XV)
8 - AFFRESCO CON CROCEFISSIONE, ANNUNCIAZIONE E SCHIERA DI SANTI, SCUOLA DEGLI ERRI (SEC. XV)
9 - NEL PRESBITERIO: ORGANO (1743)
10 - ALTARE DELLA CRIPTA, CON RELIQUIE DI SANT’ANSELMO, PAPA ADRIANO III, SANTI SENESIO E TEOPOMPO, SANTE FOSCA ED ANSERIDE
11 - PARTE DELL’EX CHIOSTRO MONASTICO DEL XV SECOLO
12 - GIARDINO ABBAZIALE
13 - ABSIDI ROMANICHE

 

ESTERNI

Basilica abbazia nonantola

LA FACCIATA ED IL PORTALE

La facciata attuale è il risultato dei restauri effettuati a inizio Novecento, voluti dall’arcivescovo Natale Bruni e diretti da Don Ferdinando Manzini. Edificata nell’XI secolo, la facciata – e più in generale tutta la basilica – venne alterata alla fine del XVII secolo, durante l’abbaziato del cardinale Albani, assumendo un aspetto barocco.

Se osserviamo bene il colore delle pietre della facciata, riusciamo a scorgere alcune tracce improprie della chiesa barocca che con i restauri novecenteschi furono eliminate per riportare la chiesa all’architettura romanica, specialmente le due porte che davano accesso alle navate laterali e le finestre circolari che sostituirono la bifora.

La facciata si presenta a salienti, ma in età barocca era “a capanna”. Il protiro sporgente incornicia il portale con le sue formelle, traccia inconfutabilmente autentica – assieme alle absidi – dell’età romanica.

 

lunetta nonantolaLa lunetta, attribuita con certezza a Wiligelmo, ci mostra Dio in trono, in atto benedicente, affiancato da due angeli e circondato dalle tradizionali raffigurazioni iconografiche dei 4 Evangelisti.

Sotto alla lunetta, troviamo l’architrave: una spaccatura al centro è accompagnata da un’iscrizione latina:

“Le alte volte del tempio crollarono nel millecentodiciassettesimo anno dalla nascita del Redentore e quattro anni dopo si cominciò a ricostruirle”

Si fa qui riferimento ad un violento terremoto che nel 1117 sconvolse la Pianura Padana.

 45B2958Le formelle degli stipiti ci mostrano alcuni episodi scolpiti su pietra.

Questi sono di qualche decennio precedenti l’opera di Wiligelmo, essendo stati commissionati dall’abate Rodolfo I (1002-1032).

Stipite sinistro (dal basso verso l’alto): la fondazione dell’abbazia e i suoi primi secoli di storia

  • Telamone
  • I longobardi Astolfo ed Anselmo in vesti nobiliari
  • La formella della fondazione: il re Astolfo dona al cognato Anselmo la terra di Nonantola ed il primo nucleo di beni (rappresentati dalla zolla)
  • Anselmo, fattosi monaco, con la prima abbazia
  • Anselmo e i monaci chiedono al papa il corpo di San Silvestro
  • Il trasporto delle reliquie di Silvestro verso Nonantola
  • La sepoltura del corpo di Silvestro in abbazia
  • La morte di sant’Adriano III papa nei pressi degli attuali San Cesario sul Panaro/Spilamberto
  • I monaci traslano la salma di Adriano verso l’abbazia
  • La sepoltura di papa Adriano in abbazia
  • Sansone a cavallo di un leone: sopra e sotto, in latino, “de forte dulcedo / de comedente cibus” (Dal forte è uscito il dolce e dal divoratore è uscito il cibo). Si tratta del famoso indovinello di Sansone (Giudici XIV, 14). In allogoria ci indica che coloro che dominarono impossessandosi anche dei beni della chiesa – i longobardi – fornirono il cibo per i monaci – la donazione di Astolfo – e dallo stesso seno della dinastia dominante uscì la dolcezza del fondatore dell’abbazia

R Abbazia 30Stipite destro (dal basso verso l’alto): la Natività e l’Infanzia di Cristo

  • Telamone
  • Annunciazione
  • Visitazione
  • Madonna partoriente e primo bagno di Gesù Bambino
  • Presepe
  • Annuncio dell’angelo ai pastori e il gregge
  • Adorazione dei Magi
  • Presentazione di Gesù al tempio
  • L’angelo parla a Giuseppe per indurlo alla fuga in Egitto

 

 45B2951

 

PER UN PERCORSO SPIRITUALE

Ciò che colpisce della facciata è il protiro con lo splendido portale. Il protiro poggia su due leoni stilofori, per mezzo di due appoggi, uno di forma circolare e l’altro di forma quadrata: questi simboleggiano le due nature di Cristo Signore, rispettivamente quella divina e quella umana. Il leone accovacciato è il Signore Risorto e la preda tra le sue zampe è la morte, che da lui è stata vinta. Inoltre il leone-Cristo è raffigurato come sostegno delle colonne: è il risorto che sostiene la sua Chiesa e l’intera vita dei credenti nello scorrere del tempo.
Il portale di ingresso alla basilica, ampio e solenne, è il segno dell’accoglienza della Chiesa: ogni pellegrino troverà qui ristoro per l’anima e per il corpo, sentendosi atteso e amato. «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato; entrerà, uscirà e troverà pascolo» (Gv. 10,9). Chi varca il portale passa attraverso Cristo stesso, immergendosi nella sua persona, e quindi, dopo questo incontro, non si può rimanere gli stessi di prima. Attraverso la porta che è Cristo, i credenti hanno accesso al giardino della resurrezione, all’aula della liturgia e alla celebrazione della salvezza.
Nel portale sono raffigurati alcuni episodi biblici e i principali eventi che riguardano la storia del monastero nonantolano; la sua fondazione, l’arrivo delle reliquie dei santi principali, i suoi tesori di fede. I due stipiti contengono due inizi, uno speculare all’altro, in dialogo tra di loro. A sinistra troviamo gli episodi della fondazione e dei primi secoli di vita del cenobio, mentre a destra vi sono quelli della natività e dell’infanzia di Cristo. Se mirabili furono le vicende che diedero origine alla storia dell’Abbazia, tanto più mirabili furono gli esordi della venuta terrena del Signore, il cui compimento potremo comprendere solo dopo aver varcato la soglia d’ingresso, avviandoci all’interno. E’ un inizio che ci accompagna nella visita, dove gradualmente questi episodi verranno completati. In altre parole, c’è come una “anteprima” di ciò che si troverà all’interno.
La lunetta del portale, presentando il Cristo seduto sul trono, circondato dai simboli dei quattro evangelisti e da due angeli in adorazione, ci presenta subito in modo deciso il padrone di casa. Questa è la casa di Dio Padre, qui si viene per adorare il Signore e servire i fratelli, secondo gli insegnamenti del Vangelo. Chi entra si riconosce figlio, bisognoso della consolazione del Padre.

abbazia nonantola esterno 2018LE ABSIDI ROMANICHE

Sul retro della basilica si possono ammirare le imponenti absidi, sublime esempio dell’architettura romanica, scandite da lesene, semicolonne, bifore, monofore ed archetti pensili.

Queste sembrano fuoriuscire da un verde prato ben curato, innalzarsi verso il cielo per collegarsi a Dio, ed assomigliano alla poppa di una nave che solca i secoli della storia, attraversando tempeste e momenti di quiete; offrono un senso di stabilità, maestosità, sicurezza, specialmente perché fondate salde sul messaggio di Cristo.

 

giardino autunno

IL GIARDINO DELL’EX CHIOSTRO MONASTICO

L’attuale giardino abbaziale è il luogo in cui nel medioevo era ospitato l’antico chiostro monastico. Oggi possiamo vedere quello che resta del chiostro addossato al fianco meridionale della basilica: una costruzione a due livelli, trecentesca nella parte inferiore, quattrocentesca in quella superiore. Oltre al chiostro, sorgevano qui gli orti, la zona del cimitero dei monaci (dietro alle absidi), ed alcune officine, ipotesi avvalorata anche dal recente ritrovamento di una fornace, emersa durante le campagne di scavi condotte dall’Università Cà Foscari di Venezia.

 

INTERNI

 

Nonantola Interno 2018LE NAVATE DELLA BASILICA

All’interno la basilica presenta la tipica struttura romanica a tre navate separate da due file di pilastri. Scesi alcuni gradini, ci si trova sul piano basso. In fondo, verso le imponenti absidi, si riconoscono subito i due livelli della chiesa, caratteristici delle basiliche di questo periodo: il presbiterio, a cui si accede attraverso la grande scalinata centrale o dalle due scale minori laterali, e la cripta, più in basso rispetto al piano d’ingresso.

PER UN PERCORSO SPIRITUALE

Spalancato il portale, il visitatore rimane senza fiato per l’impatto suggestivo creato dalla navata centrale: una chiesa tutta di mattoni, molto sobria ed essenziale nella sua grande semplicità. 
I possenti pilastri che dividono la navata centrale dalle laterali conducono lo sguardo verso il fondo della basilica e sono un invito ad incamminarsi, ad avvicinarsi verso l’altare maggiore, che rappresenta Cristo stesso, sul quale viene celebrato il sacramento dell’Eucarestia. Il ritmo cadenzato dei pilastri segna quasi un passo di danza ed un movimento avvolgente, che spinge a procedere ulteriormente fino ai gradini che conducono verso il presbiterio. 
La basilica ospita le reliquie delle sette perle nonantolane, i santi che qui sono venerati da secoli: il Patrono del paese, a cui è intitolata l’Abbazia, San Silvestro I Papa, il fondatore Sant’Anselmo, ed i santi Adriano III Papa, i martiri Senesio e Teopompo, le vergini Fosca ed Anseride. Nell’altare maggiore sono contenute le reliquie di san Silvestro I Papa, patrono della basilica e dell’Arcidiocesi, mentre gli altri sei santi sono venerati in cripta e le loro reliquie sono custodite nell’altare dell’abside centrale.

abbazia nonantola fonte battesimale 2018IL FONTE BATTESIMALE

Il fonte battesimale, alla sinistra del portale, di forma ottagonale, è frutto di un rifacimento di inizio Novecento. Murati nella struttura vi sono frammenti di un fregio romanico e una lapide che ricorda una sepoltura paleocristiana. All’interno il fonte battesimale è stato ricavato reimpiegando una fontana romana.

 

 

PER UN PERCORSO SPIRITUALE

Appena entrati dal portale, sulla sinistra c’è l’antico fonte battesimale: il primo dei sacramenti viene celebrato in una zona vicina al portale d’ingresso, essendo appunto il sacramento fontale, che dona la vita di Dio ed inserisce nel Corpo di Cristo e nella Chiesa.

Il fonte è di forma ottagonale. Il numero otto è un numero sacro nel cristianesimo: nell’arca, figura del battesimo e della Chiesa, si salvarono otto persone; otto sono le Beatitudini; soprattutto richiama l’ottavo giorno, cioè il giorno della Resurrezione, della nuova creazione operata da Dio nel Cristo. Ogni uomo, attraverso il battesimo, viene immerso nella Resurrezione di Cristo.

 

abbazia nonatola presbiterio 2018IL PRESBITERIO

Il presbiterio è la zona in cui in origine stavano i celebranti. Oggi qui si celebrano i riti liturgici nel periodo caldo dell’anno, mentre in inverno si utilizza la cripta. Degni di nota sono l’altare, la cattedra dell’abate e il grande crocefisso nell’arco trionfale.

PER UN PERCORSO SPIRITUALE

Arrivati ai gradini che conducono al presbiterio lo sguardo si innalza verso il crocifisso che campeggia nell’arco trionfale; il Cristo ha gli occhi aperti, segno della sua vittoria sulla morte, ed è vestito con la dalmatica, la veste liturgica propria del diacono, segno di Cristo servo, che dona la sua vita per noi: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).

Nel presbiterio viene quotidianamente celebrata l’Eucarestia, mentre sulla sinistra si trova l’altare del Santissimo Sacramento.

altareL’ALTARE MAGGIORE E LA CATTEDRA DELL’ABATE

L’altare maggiore è dedicato al patrono di Nonantola e santo a cui l’abbazia è intitolata, san Silvestro I papa, e in esso riposano le sue spoglie. L’opera è dello scultore di Varese Jacopo Silla de Longhi, che vi lavorò tra il 1568 ed il 1572, su commissione dell’abate commendatario Guido Ferreri. Esso presenta otto lastre di marmo bianco che raffigurano episodi della vita di Silvestro.

- Iniziando da sinistra nel primo riquadro, diviso a sua volta in due parti, è ricordato uno dei primi momenti della vita di San Silvestro: la madre Giusta consegna il figlio al prete Cirino. In alto, il fanciullo Silvestro accoglie l’ospite Timoteo, futuro martire.

- Nel secondo riquadro vediamo San Silvestro imprigionato durante il martirio di San Timoteo e quindi condotto fuori dal carcere da un vescovo, fra le guardie e il popolo inginocchiati. In alto, nella stessa formella, è raffigurata la morte del prefetto romano Tarquinio, autore di feroci persecuzioni contro i cristiani.

- Nella terza formella sono rappresentate l’ordinazione sacerdotale di San Silvestro e la sua elezione al soglio pontificio.

- La quarta si collega alla tradizione secondo la quale a Costantino sarebbe stato consigliato di immergersi nel sangue degli innocenti per guarire dalla lebbra: vediamo sulla destra le donne in pianto che proteggono i fanciulli, mentre sulla sinistra avanza il carro dell’imperatore, tirato da cavalli. Nella parte alta è preparato un grande catino per il lavacro.

- Un altro episodio della vita di San Silvestro racconta che Costantino sarebbe stato esortato dagli Apostoli Pietro e Paolo a rivolgersi a Silvestro , ritiratosi sul monte Soratte in preghiera per le persecuzioni dei cristiani, e che Silvestro, incontratosi con Costantino, gli avrebbe mostrato le immagini dei due apostoli. Il quinto riquadro si rifà, appunto, a questi eventi.

- Il battesimo di Costantino da parte di Silvestro è raffigurato nel sesto riquadro: l’imperatore è immerso nelle acque battesimali, mentre lo sguardo dei presenti è rivolto al cielo dove Cristo appare in una luce sfolgorante.

- Alcuni eventi miracolosi riguardanti il santo sono ricordati nel settimo riquadro: egli ridà la vita a un toro davanti a Costantino, a Elena sua madre, chierici, ebrei e filosofi; ancora, lega le fauci ad un feroce drago, mentre i maghi Porfirio e Torquato vengono tramortiti dal suo alito malefico.

- L’ottavo ed ultimo riquadro è quello più strettamente legato al monastero nonantolano: accanto all’immagine di papa Silvestro che presenta una bolla all’imperatore Costantino, appare il profilo del paese di Nonantola, verso il quale vengono portate le spoglie del santo, la cui morte è raffigurata in basso a sinistra. 

Dietro l’altare maggiore si può vedere dietro l’altare il segno proprio di questa basilica, che è anche concattedrale dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola: la cattedra episcopale, nel fondo dell’abside, posta in alto su alcuni gradini. Questa sede è usata solo dall’Arcivescovo Abate di Modena-Nonantola (o da un altro vescovo che eventualmente venga a celebrare in basilica).

cripta visitaLA CRIPTA

La cripta dell’abbazia è una delle più vaste delle chiese romaniche europee.

Da un punto di vista dell’architettura, essa, costruita nell’XI secolo, venne interrata ad inizio Quattrocento a causa di frequenti infiltrazioni d’acqua e riaperta solo con i restauri del 1913-17.

All’interno dell’altare della cripta sono venerate le reliquie di sei Santi: sono quelle di Anselmo, abate fondatore, Adriano III papa, Senesio e Teopompo martiri, Fosca ed Anseride vergini.

PER UN PERCORSO SPIRITUALE

La cripta è uno spazio che ci invita ad innalzare la mente alle cose di Dio, attraverso una sinfonia melodica di archi e di volte. Si rimane come incantati da questa “foresta di colonne”, molto esili, sormontate da capitelli, alcuni dei quali di epoca longobarda, che spingono ulteriormente al silenzio, al raccoglimento.

Pare quasi di sentire ancora l’eco del canto dei monaci che per secoli hanno lodato Dio in questo luogo.

Queste colonne, semplici ed eleganti, possono rappresentare le migliaia di monaci che hanno fatto di Nonantola un luogo di preghiera tra i più importanti al mondo. Le colonne sono 64, ognuna con un proprio capitello.

Qualcuno ha definito la cripta “un bosco di pietra” ed ha voluto vedere nella diversità dei capitelli la natura stessa degli uomini, ognuno dotato di un propria unicità. Simbolicamente, 64 colonnine potrebbero indicare la perfezione, essendo 64 il quadrato di 8, numero della perfezione. Una singolare casualità vuole che le colonne di questa cripta siano esattamente il doppio di quelle della cripta del duomo di Modena, dove se ne possono contare 32.

 

LE OPERE D’ARTE

 

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Monumento a Natale Bruni del Graziosi

Iniziando dalla navata alla nostra sinistra, dopo il fonte battesimale, entro una nicchia incorniciata da un arco gotico, si incontra il monumento commemorativo a Mons. Natale Bruni, eseguito nel 1917 dallo scultore Giuseppe Graziosi, che ricorda il restauro da lui promosso tra il 1913 ed il 1917.

 

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Statua di San Bernardo

Nell'abside di sinistra è collocata una statua in terracotta del XVI secolo raffigurante San Bernardo di Chiaravalle.

Il santo è raffigurato in piedi, vestito con i paramenti sacri e le insegne episcopali, mitra e pastorale. Opera di pregio, in origine riservata alla devozione dei monaci, ricorda il momento storico in cui i benedettini, dopo 762 di permanenza a Nonantola, furono sostituiti dai cistercensi nel 1514.

Le belle proporzioni, la spontaneità enfatica del gesto e l’accentuata morbidezza dell’intera composizione lasciano pensare che l’appartenenza dell’anonimo artista sia riconducibile all’ambito barocco della scuola plastica emiliana.

 

 

 

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Il crocefisso ligneo

Il crocefisso, intagliato in legno, è del XV secolo.

La croce lignea è del XVII secolo.

Di grande espressione è il dolore che traspare dal volto sofferente di Cristo, che ha la testa reclinata su di un lato.

 

abbazia nonatola affresco 2018
Il grande affresco

Di notevole interesse è il grande affresco, datato XV secolo, attribuito alla scuola modenese degli Erri o al maestro della pala dei muratori.

Si compone di tre livelli: in alto, Crocefissione, al centro, Annunciazione, in basso, una teoria di santi dove possiamo riconoscere, da sinistra, Martino, Gregorio Magno, Giovanni evangelista, Giacomo, Silvestro, Antonio abate e Giorgio.

 

organo nonantola
L’organo

Nella navata destra, nel presbiterio, è collocato l’organo, opera di Domenico Traeri, datato 1743, ancora in piena efficienza ed utilizzato nelle celebrazioni solenni.

 

L’ABBAZIA NEI SECOLI

 

fondazione ASTOLFO E ANSELMO: LA FONDAZIONE MONASTICA E LA SUA DEDICAZIONE

La fondazione dell’abbazia di Nonantola si colloca nel quadro storico - politico dell’insediamento dei Longobardi nel modenese. All’origine vi fu una donazione di terre: nel 752 Astolfo donò al cognato Anselmo, “olim dux militum, nunc dux monachorum”, la terra definita nelle fonti “locum Nonantulae”. Dopo un periodo di permanenza a Fanano, sull’appennino modenese, dove aveva fondato un ospizio nei pressi del Passo della Croce Arcana, Anselmo, su incarico di Astolfo, si trasferì a Nonantola coi suoi monaci. Qui vi fondò un monastero: si tratta di uno dei monasteri più insigni ed antichi della Val Padana, forse la prima vera e propria fondazione benedettina in tutto il nord Italia. I futuri sviluppi del monastero finirono per superare gli intenti e le previsioni dei suoi fondatori. Il monastero, dotato di numerosissime pertinenze la cui estensione non era inferiore ai 400 chilometri quadrati, godeva della proprietà della pesca, dei mulini, dei ponti, dei boschi, dei pascoli e delle numerose chiese e cappelle poste nel rispettivo territorio, con diritti fiscali che davano all’abate anche la facoltà di riscuotere i contributi dei sudditi del monastero.

L’originario edificio di culto, stando alle fonti a nostra disposizione, cambiò titolazione quattro volte in quattro anni: essa fu in un primo momento dedicata alla Madonna e a San Benedetto e, come tale, sarebbe stata consacrata da un certo vescovo Geminiano di Reggio Emilia l’8 ottobre 752. Una seconda dedicazione ai Santi apostoli Pietro e Paolo sarebbe avvenuta il 9 giugno 754 per mano dell’arcivescovo Sergio di Ravenna. Tale dedicazione venne poi estesa a tutti i Santi Apostoli.

Da ultimo, una quarta dedicazione, questa volta a San Silvestro I papa, sarebbe avvenuta il 20 novembre 756 ad opera del vescovo Romano di Bologna. Da quel momento l’abbazia, impreziosita dal corpo del santo papa portato da Roma a Nonantola dai longobardi nel 756, assunse definitivamente il titolo di San Silvestro.

Nel 757 prese il potere del regno longobardo il bellicoso Desiderio: Anselmo venne rimosso da Nonantola ed esiliato a Montecassino. Non sappiamo quanto sia durato tale esilio, forse fino al 774 quando Carlo Magno assoggettò i Longobardi.

Anselmo, dopo una breve malattia, circondato dai suoi monaci a cui rivolse le ultime esortazioni e diede un’ultima benedizione, spirò tra le loro braccia, a Nonantola il 3 marzo 803.

ACMo A.I.2 monogramma 01 L’ABBAZIA IMPERIALE DI CARLO MAGNO E DEI CAROLINGI

Assoggettati i longobardi nel 774, l’abbazia entrò nella compagine del Sacro Romano Impero.

Carlo Magno non apportò alcuna radicale trasformazione amministrativa al precedente ordine. Strategico, ai fini del controllo del territorio e delle vie di comunicazione, specialmente nelle aree di confine, fu il ruolo dei monasteri, come quello di Nonantola.

Nell’età carolingia i monasteri benedettini ebbero indubbiamente una funzione spirituale, religiosa e culturale, ma furono anche centri di potere al servizio del sovrano, fornendo monaci e chierici in grado di produrre la documentazione di cui necessitava la gestione imperiale. Le abbazie diventarono uno strumento prezioso per la politica culturale di Carlo Magno,rivolta ad unire genti diverse - che parlavano lingue diverse e scrivevano con calligrafie differenti, che vivevano in luoghi distanti del suo impero - con gli stessi libri liturgici, gli stessi testi sacri e gli stessi canti religiosi. In un’epoca in cui pochi sapevano leggere e scrivere, fu necessario rivolgersi agli unici conoscitori di questi saperi, i monasteri, vere e proprie isole culturali che si trasformarono in fabbriche di codici.

Carlo Magno raggruppò intorno alla sua corte uomini di cultura come l’anglosassone Alcuino, maestro della scuola episcopale di York, o il monaco longobardo Paolo Diacono. Lo sforzo di dare nuovo vigore alla gestione dello stato, che ricreò scuole e pratiche amministrative basate sull’uso regolare della scrittura, è stato definito dai medievisti “rinascenza carolingia” e fu un fenomeno che riguardò soprattutto gli ecclesiastici, dato che Carlo Magno ed i suoi successori si servirono principalmente di loro per la redazione degli atti e l’organizzazione delle cancellerie imperiali. Il nuovo bisogno di libri condusse alla diffusione di una nuova scrittura, che dal nome dell’imperatore fu detta “minuscola carolina”, introdotta per semplificare il lavoro di copia degli amanuensi e che costituì la base di ogni successiva corsiva minuscola.

Il legame dell’abbazia con la figura di Carlo Magno è strettissimo: durante il suo regno fu dotata di beni, terreni e privilegi a partire già dal 776, mantenendola così strettamente legata alle vicende imperiali. Gli abati di età carolingia non furono solo dei mistici asceti, ma veri funzionari imperiali, spesso incaricati di svolgere delicati compiti politici e di rappresentanza imperiale. Agli inizi del IX secolo, sotto l’abate Pietro, d’origine franca e successore di Anselmo, il monastero acquistò ulteriore prestigio in ambito europeo e lo stesso abate, nell’813, fu incaricato da Carlo Magno di recarsi a Costantinopoli insieme al vescovo di Treviri Amalario per un’ambasceria. Similmente l’abate Ansfrido. Ludovico il Pio confermò la sua attenzione per il monastero con altri privilegi; nell’837 qui soggiornò Lotario, che concesse ai monaci il diritto di eleggere liberamente il proprio abate. Nell’883 Carlo il Grosso fissò a Nonantola il suo incontro col papa Marino.

Dell’età carolingia restano ancora oggi presso l’Archivio abbaziale 14 importanti documenti in pergamena – le più antiche in originale - rispettivamente 10 in originale e 4 in copia. Fra questi spiccano 3 diplomi originali di Carlo Magno, e particolarmente quello datato 797 recante il suo monogramma, con il quale egli conferma alcune donazioni di terre tra Vicenza e Verona in favore del monastero, aggiungendone altre nel bolognese, e il placito dell’801, primissima testimonianza in cui Carlo Magno viene citato come “imperator” e non più come “rex francorum et langobardorum”. Con questo documento, passato per le mani di Sant’Anselmo, all’epoca ancora abate del monastero, Carlo, nella lite sorta tra Vitale vescovo di Bologna e l’abate nonantolano circa la chiesa di Lizzano, riconosce al vescovo i diritti rivendicati, confermando al tempo stesso all’Abbazia la donazione della suddetta chiesa fatta dal re Astolfo.

E’ assai probabile che nell’800 i monaci dell’Abbazia abbiano accolto Carlo durante una tappa del suo viaggio verso Roma per essere incoronato imperatore: infatti, le abbazie sottoposte alla protezione del sovrano erano a tutti gli effetti nella sua disponibilità e uno dei diritti che egli poteva esercitarvi era quello di ricevere da esse vitto ed alloggio per sé e per il proprio seguito, ipotesi avvalorata anche dal fatto che nell’Abbazia di Nonantola si venerava il corpo di Silvestro, il papa dell’imperatore Costantino, e Carlo si servì della sua figura per presentarsi come alter Costantinus.

nonantola pellegrinaggio.jpg LUOGO DI ACCOGLIENZA E META DI PELLEGRINAGGI: LA VIA ROMEA NONANTOLANA

Il tema dell’ospitalità benedettina gratuita nel Medioevo si presenta ampio e complesso, anche perché permette di allargare il fondamentale elemento dell’interpretazione religiosa del fenomeno ad altri ambiti, come quello relativo al controllo della viabilità e del territorio: il potere politico si servì infatti costantemente a tale fine di abbazie ed ospitali specialmente nelle zone di confine, come il casa di Nonantola, a pochi chilometri dal confine con l’Esarcato di Ravenna.

In altri termini, le abbazie costituivano centri di irradiazione religiosa posti normalmente su vie di grande comunicazione o in zone strategicamente importanti.

reliquia santa croce nonantolaLa sacralità dell’ospitalità, prescritta da Benedetto nella sua Regola,  era ovviamente ricondotto al versetto del Vangelo di Matteo 25, 35 “fui straniero e mi accoglieste”, in cui l’ospite viene pienamente identificato con lo stesso Cristo. La sua accoglienza  prevedeva perciò un vero e proprio rito. Fra coloro che giungevano al monastero particolare attenzione doveva esser rivolta ai poveri e ai pellegrini. Il monastero era quindi attrezzato con una serie di ambienti, la foresteria, che potessero ospitare chiunque qui giungesse, per rifocillarsi, riposare, trovare riparo per poi proseguire nel proprio viaggio.

L’abbazia divenne ben presto meta di numerosi pellegrinaggi e punto di sosta nei cammini più lunghi verso i luoghi maggiori della Cristianità: Roma, la Terra Santa e Santiago di Compostela, trovandosi lungo la cosiddetta “Via Romea Nonantolana”, un itinerario che scendeva in Italia dalla Germania attraverso il Brennero, e passando per il veronese ed il mantovano giungeva a Nonantola per poi riprendere verso gli appennini, giungere in Toscana e ricongiungersi alla Via Francigena.

Elemento importante di richiamo per i pellegrinaggi era – ed è tuttora – la presenza di uno dei Tesori Sacri più importanti per le abbazie e le cattedrali, costituito da reliquie del legno della Santa Croce e reliquie di Santi molto venerati nel Medioevo, come il papa San Silvestro I.

 45B2970 L’ORGANIZZAZIONE ED IL LAVORO DEI MONACI

I monasteri benedettini, che nel Medioevo coprirono con una loro fitta rete l’Europa, si articolavano in ferventi comunità di religiosi, di chierici e di laici, uniti nella preghiera e nel culto divino ed aperti alla società civile, che gravitava intorno a loro. D’altra parte, con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente e la destrutturazione di ogni settore dello stato, i monasteri rimasero gli unici centri di riferimento territoriali dotati di una propria struttura politica, amministrativa, giuridica ed economica. Presenti ed operanti sempre nei grandi momenti della storia della Chiesa, essi furono anche unità amministrative ed economiche, delle curtes, con rilevante peso nella vita sociale dell’Alto Medioevo.

La vita monastica si articolava attorno alla Regola di San Benedetto. Tra i suoi pregi vi è la concretezza e il suo realismo; in essa vengono stabiliti i ruoli e i compiti di ciascun membro della comunità monastica, e stabilite le regole per la convivenza.

Il monaco è sottoposto alla Regola e all’abate. L’ingresso al monastero non era semplice: il candidato veniva lasciato fuori dalla porta per quattro o cinque giorni, dopo i quali, se resisteva, veniva fatto alloggiare per alcuni giorni nella foresteria. Accolto poi nella parte del monastero riservata ai novizi, un monaco anziano si prendeva cura di lui, prospettandogli la durezza della vita monastica; dopo due mesi gli si leggeva per intero la Regola, quindi seguiva il noviziato per altri dieci mesi, e, infine, veniva accolto nella comunità, non prima di avere scritto di suo pugno la professione monastica, con l’impegno alla conversione alla vita nuova e all’ubbidienza. Il monaco faceva i tre voti di castità, povertà ed ubbidienza, promettendo di seguirli e di non abbandonare il monastero, ma di vivere in umiltà.

Fedeli al motto “Ora et Labora”, i fratres organizzarono le proprie giornate in modo regolare, alternando i turni di preghiera al lavoro manuale: erano assai spesso esperti in diverse arti e crearono quindi attività ed officine, cosicché anche il commercio fiorì intorno alle grandi abbazie.

I monaci si alzavano a notte fonda, tra la mezzanotte e le due, per cantare le Vigilie, quindi tornavano a letto fino alle Lodi, che segnavano il risveglio della comunità monastica. Tra le Lodi e l’ora di Prima vi era un breve intervallo per l’igiene e le necessità di ciascuno; dopo l’ora di Prima – tra le cinque e le sei – avveniva la spartizione dei compiti della giornata e ciascuno si dedicava alla sua specializzazione. Le preghiere dell’ora Terza – verso le nove – erano brevi e venivano recitate sui luoghi di lavoro. L’ora Sesta vedeva i monaci riunirsi prima del pranzo, che avveniva tra letture edificanti. All’ora Nona – verso le tre del pomeriggio – riprendevano le attività che terminavano all’imbrunire, quando suonava  la campana del Vespro. Si andava a letto tra le diciotto e le diciannove (ma anche più tardi, a seconda delle stagioni), e prima di addormentarsi, nel dormitorio stesso, si recitava la Compieta.

monaciL’abate, sempre secondo la Regola, veniva eletto dai monaci, riuniti nel capitolo, in base ai suoi meriti. Nel corso dei secoli, e il caso nonantolano è esemplare da questo punto di vista, questo principio democratico venne spesso disatteso: soprattutto nei periodi di crisi, famiglie nobili imposero loro esponenti a capo delle abbazie. L’abate era il responsabile del monastero, il padre, il pastore ed il maggiordomo della casa: a lui si dovevano rispetto, ubbidienza ed onore, ma anche egli era sottoposto come tutti i monaci alla Regola, e doveva esercitare  i suoi poteri con moderazione ed umanità, servendosi della collaborazione degli altri monaci. All’abate competeva l’organizzazione della vita monastica: la liturgia, il controllo dei novizi, i rapporti con i potentati locali e gli altri monasteri. Egli non alloggiava nei dormitori, ma disponeva di un appartamento riservato.

Il priore era il collaboratore principale dell’abate, a lui legato da stima e devozione. Per far funzionare una comunità complessa e a volte numerosa erano previste una serie di cariche con responsabilità specifica del settore di competenza: il cellario curava l’amministrazione generale del monastero, il cantore insegnava il canto ai monaci ed intonava gli inni durante le celebrazioni, il maestro dei novizi si occupava dell’insegnamento ai monaci più giovani, cercando di scorgere nei loro cuori la vera vocazione monastica, il cancelliere curava l’archivio e la conservazione dei documenti, il sagrestano aveva la responsabilità dei vasi e dei paramenti sacri, l’elemosiniere distribuiva le elemosine ai poveri, il bibliotecario era l’unico a conoscere tutti i volumi della biblioteca monastica, ne curava la conservazione, la distribuzione ai monaci che ne avessero bisogno.

L’operato dei monaci fu fondamentale per la cura del territorio e della cultura. Essi riscattarono dall’abbandono terre incolte, risanarono paludi, insegnarono tecniche di coltivazione nei campi, salvarono e tramandarono coi loro scriptoria e le loro biblioteche la cultura del mondo antico e ne produssero di nuova, anche nel campo dell’arte e della musica.

034 LO SCRIPTORIUM NONANTOLANO

Con il termine “scriptorium” si intende un luogo specifico del monastero nel quale i monaci provvedevano alla realizzazione dei codici in tutte le loro parti, dalla preparazione delle pergamene mediante piegatura, foratura e rigatura fino alla stesura della parte scritta ed infine, eventualmente, alla realizzazione del decoro miniato, della legatura e della coperta.

Il lavoro veniva suddiviso con attenzione a seconda delle capacità dei monaci deputati a tali mansioni: vi era il monaco addetto alla preparazione della pergamena, quello amanuense, il rubricatore, e quello miniatore. Per agevolare la loro attività, che era faticosa, richiedeva grande concentrazione ed era equiparata alla preghiera, l’ambiente doveva essere ben illuminato mediante grandi vetrate e ben riscaldato grazie alla presenza di ampi camini.

Nel caso specifico del monastero nonantolano non sappiamo con certezza dove tale luogo potesse essere ubicato poiché non vi si è conservata memoria né nell’evidenza archeologica né nelle fonti documentarie.

Non abbiamo notizie certe sull’avvio della produzione dello scriptorium: sappiamo però che Anselmo portò dall’esilio di Montecassino alcuni codici che costituirono il primitivo nucleo dell’antica biblioteca abbaziale. I primi codici noti, prodotti nel IX secolo, furono composti in una minuscola precarolina tipizzata, con molti punti di contatto con la beneventana e con le parallele sperimentazioni grafiche condotte in altri centri dell’Italia Settentrionale, come Bobbio, Verona e Pavia, ma caratterizzata da una maggiore uniformità, tanto da prendere il nome di “tipo di Nonantola”, avvalorando in questo modo l’ipotesi che i codici portati a Nonantola da Anselmo dopo l’esilio a Montecassino funsero da possibili modelli di elaborazione grafica. Caratteristiche della minuscola “di Nonantola” sono la e alta e strozzata, la o a goccia, l’uso della a aperta e la prevalenza della d onciale.

Evidenziata la difficoltà di ricostruire la prima attività dello scriptorium esclusivamente in base ad analisi paleografiche, si può rilevare che i codici prodotti a Nonantola nel IX secolo mostrano una notevole omogeneità quanto a caratteri paleografici ed ornamentali in cui si uniscono influssi della tradizione franco sassone con quella meridionale. In particolare, si riconosce in essi una grande cura nell’impaginazione e nella delimitazione dello specchio scrittorio, la presenza di un’illustrazione sobria ed una notevole omogeneità grafica che rivelano uno scriptorium organizzato con la presenza di diversi scribi coordinati, però, da un unico maestro.

L’adozione della minuscola carolina nello scriptorium avvenne abbastanza tardi e probabilmente per gradi e tentativi successivi. Questa fase è difficile da seguire per la penuria di manoscritti attribuibili alla seconda metà del IX secolo. Tale carenza fu in parte dovuta alla scomparsa del materiale in seguito ai rovinosi avvenimenti che si susseguirono alla fine del secolo ma anche ad un periodo di crisi della comunità monastica, che subì il tentativo di usurpazione del vescovo Adalardo di Verona. Seguirono un incendio e l’invasione degli Ungari (899), i quali “venerunt usque ad Nonantulam et occiderunt monachos, et codice multos concremaverunt”.

La ricostruzione probabilmente avvenne in tempi brevi, poiché già nel 904 fu consacrata la nuova chiesa; tuttavia il X secolo si segnala come un periodo di debolezza del monastero, che subì l’avvicendarsi di abati esterni: dapprima Guido, vescovo di Modena, poi Giovanni Filagato, vescovo di Piacenza.

All’inizio dell’XI secolo, quando l’abate Rodolfo si accinse a reintegrare le perdite subite dalla biblioteca e probabilmente a riorganizzare lo scriptorium, la situazione economica e politica del cenobio doveva essersi risollevata. Fu soprattutto ad opera degli abati dell’XI secolo che l’Abbazia benedettina si riorganizzò e rinacque, ricostituendo e riconquistando il suo fondamentale ruolo di centro organizzatore e fulcro del territorio circostante, sia dal punto di vista politico-economico che culturale. Dal punto di vista illustrativo e compositivo, i manoscritti dell’XI e XII secolo rivelano notevoli punti di somiglianza: sono tutti di formato analogo, con un rapporto costante tra specchio scrittorio e dimensione della pagina di pergamena, la composizione è rigorosamente in quaternioni con inizio lato pelo. Gli incipit dei testi tracciati in minio sono in carolina o capitale rustica di modulo uguale al testo; le iniziali a pennello, distribuite con parsimonia, sono invece generalmente ad intrecci geometrici spesso con racemi fitomorfi agli apici, con toccature rosse, verdi e gialle. Il sistema di illustrazione appare quindi sobrio. L’operazione realizzata dall’abate Rodolfo si inserisce in un quadro di completa riorganizzazione del cenobio, di ridefinizione  del suo ruolo politico e culturale e di elaborazione della propria simbologia del potere, finalizzata a contenere le ingerenze delle sedi vescovili vicine.

Dalla seconda metà del XII secolo la scuola monastica e lo scriptorium rapidamente decadono, perdendo il confronto con i vicini centri cittadini, soprattutto con Bologna dove è già attivo lo Studium.

Nonostante periodi di decadenza e spoliazioni, si giunse alla realizzazione di 259 volumi che vennero a costituire l’antica Biblioteca abbaziale poi dispersa. Diversi codici nonantolani sono stati indentificati in varie biblioteche europee: Londra, Parigi, Dublino, Bamberga, Vercelli, Bologna, Modena, Firenze. Attualmente i nuclei maggiori di tale patrimonio librario sono conservati a Roma (Biblioteca Apostolica vaticana e Biblioteca Nazionale Centrale), mentre a Nonantola rimangono solo 3 esemplari custoditi nel Museo Benedettino e Diocesano di Arte Sacra e facenti parte del Tesoro abbaziale: si tratta dell’Acta Sanctorum (X-XII secolo), del Cantatorio (XI secolo) e dell’Evangelistario detto “di Matilde di Canossa” (XI-XII secolo). 

LE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA. LE FRATELLANZE DI PREGHIERA

Il monastero di Nonantola all’inizio dell’XI secolo entrò a far parte di una grande fratellanza di preghiera, che riuniva decine di cenobi disseminati nell’Europa centro-settentrionale. Essa consisteva in un patto spirituale in base al quale i monasteri benedettini si impegnavano a scambiarsi gli elenchi dei monaci, per i quali poi pregare. Tali liste venivano copiate nel cosiddetto Liber vitae di ciascun monastero. In quello dell’Abbazia di Reichenau (nella Germania meridionale) sfilano circa 40.000 nomi. E’ di grande importanza la presenza di un indice con i nomi di 56 monasteri, tutti uniti in fratellanza con Reichenau. Tale appartenenza rappresentò un primo importantissimo stadio nelle relazioni fra i diversi centri religiosi, che in questo modo ebbero la strada aperta ad ogni altro tipo di scambio, in campo culturale, linguistico, liturgico, musicale, artistico, economico. Ad un secondo livello, le liste di nomi ci permettono di desumere con certezza il numero di monaci presenti nel monastero: al tempo dell’abate Pietro (successore di Anselmo, d’origine franca, scelto da Carlo Magno, in carica dall’804 all’825) erano ben 851, numero elevatissimo per l’epoca, indice di un’abbazia florida ed in costante espansione.

firma di matilde IL PIENO MEDIOEVO. GOTESCALCO E LA PARTECIPANZA AGRARIA. IL MONASTERO ED I CANOSSA

Dopo la morte di Carlo il Grosso, in seguito alla quale terminò la dinastia carolingia, la scena politica italica subì una radicale trasformazione; lo stesso successe per il monastero di Nonantola dove al posto delle glorie e prosperità passate subentrarono tristi sventure. Dopo l’abbaziato fecondo di Teodorico, che terminò nell’887 con la sua morte, il monastero rimase privo per quattro anni dell’abate, situazione alla quale bisogna aggiungere un evento negativo. Durante la vacanza dell’abate, nell’890, vi fu un tremendo incendio le cui fiamme arsero interamente il monastero distruggendo non solo il complesso ma anche l’archivio e i suoi preziosi documenti.

Nello stesso anno venne finalmente eletto il nuovo abate nella persona di Landefredo che riedificò il monastero. Ma le sventure non erano ancora terminate: nell’autunno 899 gli Ungari giunsero in Italia, invadendo e saccheggiando anche Nonantola. Un numero molto elevato di monaci venne ucciso, la chiesa fu arsa, il monastero fu depredato e un gran numero di codici e di opere d’arte venne perso. L’abate Leopardo, successore di Landefredo, in carica tra l’895 e il 907, ebbe dal papa Sergio III conforto e aiuto e poté così riparare i danni arrecati dagli Ungari.

Nel 962 l'abbazia venne data da Ottone I a Guido vescovo di Modena e arci-cancelliere imperiale. In tal modo rischiò seriamente di essere assorbita dalla diocesi modenese, e perdere tutti quei titoli d'indipendenza già sottoscritti da papi e imperatori. Infatti pare che fu proprio sotto Guido che vennero distrutti i privilegi papali ed imperiali e nello stesso tempo approntati dei falsi per proteggersi dal vescovo di Bologna, che nel frattempo, con un diploma falso, tentava di far rientrare anche Nonantola nella sua diocesi   .
Con Rodolfo I (1002-1035), l'abbazia finalmente si vide retta in modo continuo. Iniziò un periodo di rinascita materiale e culturale.

Il nome di Gotescalco, abate tra il 1053 ed il 1059, è strettamente legato all’origine della Partecipanza Agraria di Nonantola. Una data importante per l’abbazia e per il popolo nonantolano, per la rilevanza sociale e i risvolti attuali, è il 4 gennaio 1058. Questo abate concesse a tutte le famiglie che allora abitavano a Nonantola e che vi avrebbero in futuro abitato, oltre a diritti fondamentali inerenti la persona umana, di cui non fruivano ancora, l’uso perpetuo di tutta la terra coltivabile posta entro i confini del nonantolano e lo sfruttamento, in comune, di boschi, paludi e pascoli. Come contropartita il popolo nonantolano avrebbe dovuto, entro sei anni, costruire tre parti di mura intorno al castello (il borgo più l’abbazia), mentre alla quarta parte avrebbero provveduto gli abati. Nacque così la Partecipanza agraria di cui anche oggi beneficia gran parte della popolazione nonantolana.

Gotescalco morì l’anno successivo alla sua donazione. A lui succedette Landolfo I, nominato abate nel 1060 e rimasto in carica fino al 1072. Grazie al suo operato, il papa Alessandro II confermò all’abbazia i suoi privilegi. Dopo la sua scomparsa, l’abbazia rimase sede vacante fino al 1086.

Erano quelli gli anni traumatici della lotta delle investiture, a cui l’abbazia partecipò attivamente: I protagonisti principali di questo scontro furono il pontefice Gregorio VII, appoggiato dalla contessa Matilde di Canossa, e l’imperatore Enrico IV. I monaci nonantolani si schierarono dalla parte di Gregorio e di Matilde. E proprio Gregorio VII, di ritorno da Canossa, si fermò nella abbazia il giovedì santo dell’anno 1077 per celebrare la messa crismale. Lo stesso pontefice concesse al monastero il nuovo abate, Damiano, attorno al 1086 e lo sollevò da alcune decime che i vescovi di Modena esigevano per amministrare il sacramento della cresima.

Gregorio VII si spense nel 1085, quando la conclusione della lotta per le investiture era ancora lontana. Toccò al papa Callisto II ed al successore di Enrico IV, il figlio Enrico V, siglare il Concordato di Worms del 1122 che poneva fine alla lunga e accesa controversia. Nonantola ebbe un suo ruolo: spettò, infatti, ad un monaco nonantolano, chiamato Placido, preparare i principi giuridici che racchiudevano e delimitavano con precisione i confini del potere spirituale e di quello temporale. Lo fece nel suo scritto intitolato “De Honore Ecclesiae”. In esso, i diritti della Chiesa trovarono un’abilissima sistemazione giuridica. Dopo la fine della lotta delle investiture, al monastero venne a mancare l’antica protezione imperiale. Ci si stava inoltrando a grandi passi verso la fase comunale.

Del periodo dei Canossa e specialmente di Matilde rimangono una ventina di pergamene nell’archivio abbaziale. La sua fu una politica ambigua nei confronti dell’abbazia: dapprima, nel 1083, assediò il paese spogliandolo di beni insieme alla sua chiesa. In un secondo tempo, invece, la contessa portò avanti una politica di vicinanza alla chiesa nonantolana, come testimoniato dalla serie di donazioni che Matilde fece al monastero, facendoci supporre che fosse avvenuta una riconciliazione rispetto alla frattura precedente. Nel 1088 venne confermato dalla contessa il possesso della chiesa di San Silvestro di Nogara; altre concessioni furono fatte nel 1103, per risarcire del danno che la contessa aveva arrecato al monastero per la sottrazione del suo Tesoro.

LA PERDITA DEL POTERE TEMPORALE. L’ABBAZIA TRA MODENA E BOLOGNA

Dopo la lotta per le investiture, la giurisdizione temporale cessò quasi completamente nel 1261, con il trasferimento al Comune di Modena del governo sui territori abbaziali compresi nei confini modenesi. In quell’anno fu innalzata lungo la cinta muraria la Torre dei Modenesi o dell’Orologio.

Nel 1307 Nonantola venne ceduta dai modenesi a Bologna. A sancire questo passaggio fu costruita la Torre dei Bolognesi o Rocca. Nonantola rimase sotto il dominio dei bolognesi sino al 1325, quando tornò in mano ai modenesi, quindi sotto il controllo degli Este. Modena, infatti, dal 1289 era passata sotto il controllo dei signori di Ferrara.

Museo S Carlo del Carracci IL PERIODO DELLA COMMENDA. I CISTERCENSI A NONANTOLA

Nel 1449 morì Gian Galeazzo Pepoli: egli fu l’ultimo della lunga serie degli abati regolari, dal momento che dopo di lui i pontefici romani assegnarono l’abbazia a commendatari.

Le cause precise di questo passaggio non sono sicure: certamente un peso determinante fu giocato dal fatto che alla morte di Gian Galeazzo Pepoli, il monastero ospitasse soltanto sei monaci benedettini, numero che era andato assottigliandosi sempre più anche per lo sviluppo degli ordini mendicanti, come l’ordine francescano e quello domenicano.

La decadenza era ben visibile e si ipotizzare che i pontefici giunsero alla decisione di assegnare l’abbazia in commenda pensando che i commendatari, con le loro sollecitudini, potessero ricondurre la chiesa all’antico splendore.

Gli abati commendatari, generalmente, non risiedevano a Nonantola; spesso si trattava di importanti uomini della curia romana come vescovi e cardinali i quali, tra i propri titoli, poterono aggiungere anche la reggenza del monastero nonantolano. In questo modo non erano più i monaci a scegliere l’abate, così come previsto dalla Regola di San Benedetto, ma era lo stesso pontefice romano a designare chi li avrebbe guidati.

In loco, invece, le sorti dell’abbazia erano rette da un vicario generale nominato della stesso commendatario. Il vicario generale era la figura di raccordo tra l’abate commendatario, che molto spesso risiedeva a Roma, ed i monaci del monastero. Inoltre, molto frequentemente, era lui stesso a svolgere le visite pastorali nelle parrocchie in rappresentanza dell’abate.

I più celebri abati commendatari furono i cardinali Giuliano Della Rovere, poi Papa Giulio II, e S. Carlo Borromeo. Quest'ultimo lasciò a Nonantola un ricordo positivo, avendo fondato qui il Seminario secondo i dettami del Concilio Tridentino.

Nel 1514 i monaci Cistercensi subentrarono ai benedettini, che abbandonarono l’abbazia dopo 762 anni. L’abate commendatario Gian Matteo Sertorio approvò la loro sostituzione, che venne ratificata dal Breve di Papa Leone X nell’anno seguente.

Nel XVIII secolo il cardinal Tanara ampliò il seminario nonantolano e il cardinal Albani modificò sostanzialmente la basilica, adattandola ai canoni dell’arte barocca.

IMG 0247 nonantola DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AD OGGI

Nel 1769, su richiesta del Duca estense di Modena, papa Clemente XIII soppresse il monastero e con la successiva definitiva partenza dei monaci cistercensi venne radunato dal 1783 un consorzio di sacerdoti, primo nucleo del Capitolo di Canonici, definitivamente costituito nel 1929 per volere del vescovo modenese Giuseppe Antonio Ferdinando Bussoleri.

Continuò invece la sua vita l’abbazia territoriale, cioè la funzione diocesana. Evitò la soppressione, già concordata tra la Repubblica Italiana napoleonica e il papa Pio VII, perché rimandata alla morte naturale del commendatario, il vescovo Francesco Maria d’Este, che visse fino al 1821.

Il nuovo duca di Modena Francesco IV ottenne da Pio VII il ristabilimento pieno della giurisdizione diocesana dell’abbazia, però con la perdita delle parrocchie esterne al Ducato e l’affidamento stabile della Commenda al vescovo pro-tempore di Modena. 

Nel 1933 il papa Pio XI concesse all’abbazia il titolo di Basilica Minore. Nel 1986, con la revisione generale delle diocesi italiane, il territorio dell'Abbazia e quello dell'arcidiocesi di Modena sono stati unificati in Arcidiocesi di Modena-Nonantola. L’ultimo abate commendatario e primo Arcivescovo Abate fu Mons. Bartolomeo Santo Quadri. L’Arcivescovo Abate attualmente in carica, 91° successore di S. Anselmo, è Mons. Erio Castellucci, eletto il 3 giugno 2015, solenne ingresso il 14 settembre, Festa dell’Esaltazione della Santa Croce.

CRONOLOGIA ESSENZIALE

1500-1200 a.C. età del Bronzo: primi insediamenti terramaricoli documentati a Nonantola (Redù).

183 a.C. Modena colonia romana. Inizia la centuriazione del territorio. Il nome Nonantola deriva dal numerale latino nonaginta, poi Nonatula ad indicare le novanta centurie qui costituitesi.

752 d.C Anselmo, giù duca del Friuli, fonda il monastero benedettino sulle terre a lui donate dal re longobardo Astolfo.

756 Il monastero accoglie le reliquie del santo papa Silvestro I, al quale viene intitolata l’abbazia.

758-774 Esilio di Anselmo a Montecassino, che termina con l’assoggetamento dei Longobardi ai Franchi.

780, 798, 801 Diplomi autentici di Carlo Magno all’abbazia. Le sue proprietà vengono notevolmente ampliate.

3 marzo 803 Anselmo muore. Carlo Magno indica l’abate Pietro come successore.

814 L’abate Pietro è ambasciatore presso Costantinopoli su incarico di Carlo Magno. Similmente l’abate Ansfrido qualche anno dopo.

870-887 L’abate Teodorico fa erigere la Pieve di San Michele Arcangelo.

8 luglio 884 Papa Adriano III muore durante un viaggio nei pressi di Spilamberto/San Cesario sul Panaro. Il suo corpo viene solennemente traslato a sepolto in abbazia.

899 Gli Ungari saccheggiano l’abbazia. Molti monaci vengono uccisi e molti codici distrutti.

911 Il monastero accoglie le reliquie dei santi Senesio e Teopompo, provenienti da Treviso.

1013 L’abate Rodolfo I commissiona il portale della erigenda basilica romanica.

1058 L’abate Gotescalco istituisce la Partecipanza Agraria.

13-28 aprile 1077 Papa Gregorio VII è a Nonantola e qui celebra le feste pasquali.

1084 Matilde di Canossa assedia e occupa Nonantola.

1111 Il monaco nonantolano Placido scrive il Liber de honore Ecclesiae alla chiusura della lotta per le investiture.

1115 Matilde di Canossa muore, dopo aver risarcito all’abbazia i danni precedentemente arrecati.

1117 Un violento terremoto che colpì la Pianura Padana arreca gravi danni all’abbazia. Ancora oggi questo fatto è testimoniato dall’iscrizione latina sull’architrave del portale.

1261 Con un lodo, Nonantola assoggettata a Modena. Costruzione della Torre dell’Orologio.

1307 Modena cede Nonantola a Bologna. Innalzamento della Torre dei Bolognesi.

1325 Battaglia di Zappolino. Nonantola passa sotto il controllo della Modena estense.

1449 Muore l’ultimo abate regolare. Inizio della Commenda.

1514 I Benedettini vengono allontanati dal monastero e sostituiti dai Cistercensi.

1560-1566 E’ abate commendatario san Carlo Borromeo che fonda il seminario abbaziale, aperto fino al 1972.

Fine ‘600 Trasformazione della basilica secondo i canoni dell’arte barocca.

1769 Francesco III d’Este sopprime il monastero nonantolano.

1783 Costituzione di un primo Consorzio di sacerdoti secolari

1784 L’abate commendatario Francesco Maria d’Este fa scrivere a Girolamo Tiraboschi la Storia dell’Augusta Badia di san Silvestro di Nonantola.

1796 Nonantola fa parte dello Stato Francese. Napoleone sopprime il monastero e la diocesi nonantolana.

15 luglio 1815 Francesco IV è a Nonantola. Essendo sopravvissuto l’abate commendatario, la diocesi abbaziale viene ripristinata.

1821 Alla morte di Francesco Maria d’Este l’abbazia viene affidata in perpetuo allo stesso vescovo modenese, che diventa così anche abate commendatario di Nonantola.

1913-1917 Grandi restauri dell’abbazia.

1929 L’arcivescovo Bussolari istituisce il Capitolo dei Canonici.

1933 Papa Pio XI con la Bolla Valde decet concede all’abbazia il titolo di basilica minore.

1986 Con la revisione generale delle diocesi italiane, l’arcidiocesi di Modena e la diocesi nonantolana vengono unificate nell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola. Fine della serie degli abati commendatari. Inizio degli Arcivescovi Abati.

CRONOTASSI DEGLI ABATI NONANTOLANI

1. S. Anselmo 752 – 803

2. Pietro 804 – 824

3. Ansfrido 825 – 837

4. Ratperto 838 – 839

5. Ratichildo 839 – 842

6. Giselprando 842 – 851

7. Linetefredo  851 – 855

8. Leone I  855 – 856

9. Pietro II  856 – 865

10. Vanefrido  865 – 869

11. Regimbaldo  869 – 870

12. Teodorico  870 – 887

13. Landefrido  890 – 895

14. Leopardo  895 – 907

15. Pietro III  907 – 913

16. Gregorio Beato  913 – 929

17. Ingelberto  929 – 941

18. Gerlone  941 – 947

19. Gottifredo 947 – 958 circa

20. Guido Vescovo di Modena 959 – 969 circa

21. Umberto Vescovo di Parma 969 – 974 circa

22. Giovanni I Archimandrita 982 – 995 circa

23. Leone II 996 – 998

24. Giovanni II 998 – 1000

25. Leone III 1000 – 1002

26. Rodolfo I 1002 – 1032

27. Rodolfo II 1035 – 1053

28. Gottescalco 1053 – 1059 circa

29. Landolfo I 1060 – 1072

30. Damiano 1086 – 1112

31. Giovanni III 1112 – 1128

32. Ildebrando 1129 – 1140

33. Andrea 1140 – 1144 circa

34. Alberto I 1144 – 1154

35. Alberto II 1154 – 1178

36. Bonifacio 1179 – 1201

37. Raimondo 1201 – 1250 circa

38. Cirsacco 1250 – 1255

39. Buonaccorso 1255 – 1262

40. Landolfo II 1263 – 1275

41. Guido 1286 – 1309

42. Nicolò  Baratti 1309 – 1329

43. Bernardo 1330 – 1334

44. Guglielmo 1337 – 1347

45. Federico 1347 – 1348

46. Diodato 1348 – 1356

47. Lodovico 1357 – 1361

48. Ademaro 1363 – 1369

49. Tommaso de’ Marzapesci 1369 – 1385

50. Nicolò d’ Assisi 1386 – 1398

51. Battista Gozzadini 1398 – 1400

52. Delfino Gozzadini 1400 – 1405

53. Giangaleazzo Pepoli 1407 – 1449

ABATI COMMENDATARI

54. Gurone d’Este 1449 – 1484

55. Giuliano Card. Della Rovere 1485 – 1503

56. Giuliano Card. Cesarini 1505 – 1510

57. Gianmatteo Sertorio 1510 – 1516 circa

58. Gianjacopo Sertorio 1516 – 1527 circa

59. Gianmatteo Sertorio (nuov.) 1527 – 1531

60. Antonio Maria Sertorio 1531 – 1550

61. Giulio Sertorio 1550 – 1560

62. S. Carlo Borromeo 1560 – 1566

63. Gianfrancesco Bonomi 1573 – 1582

64. Guido Card. Ferreri 1573 – 1582

65. Filippo Card. Gustavillani 1582 – 1587

66. Girolamo Card. Mattei 1587 – 1603

67. Alessandro Mattei 1603 – 1621

68. Ludovico Card. Lodavisi 1621 – 1632

69. Antonio Card. Barberini 1632 – 1671

70. Jacopo Card. Rospigliosi 1671 – 1684

71. Jacopo Card. De Angelis 1687 – 1695

72. Sebastiano Antonio Card. Tanara 1695 – 1724

73. Alessandro Card. Albani 1724 – 1779

74. Francesco Maria d’Este 1780 – 1821

ABATI COMMENDATARI VESCOVI ED ARCIVESCOVI DI MODENA

75. Tiburzio Marchese Cortese 1822 – 1828

76. Giuseppe Marchese Sommariva 1828 – 1830

77. Adeodato Caleffi O.S.B. 1830 – 1838

78. Luigi Reggianini 1838 – 1848

79. Luigi Ferrari 1848 – 1852

80. Francesco Emilio Cugini 1852 – 1872

81. Giuseppe Maria Conte Guidelli 1872 – 1889

82. Carlo Maria Borgognoni 1889 – 1901

83. Natale Bruni 1901 – 1926

84. Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari O.F.M. 1926 – 1939

85. Cesare Boccoleri 1940 – 1956

86. Giuseppe Amici 1957 – 1976

87. Bruno Foresti 1976 – 1983

88. Bartolomeo Santo Quadri 1983 – 1986

ARCIVESCOVI ABATI DI MODENA -NONANTOLA

88. Bartolomeo Santo Quadri 1986 – 1996

89. Benito Cocchi 1996 – 2010

90. Antonio Lanfranchi 2010 – 2015

91. Erio Castellucci 2015

LA BASILICA ABBAZIALE

 

 

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LA CONCATTEDRALE DELL'ARCIDIOCESI DI MODENA-NONANTOLA

La Chiesa Concattedrale, al pari della Cattedrale, è il cuore della vita della diocesi, di cui è la chiesa madre insieme al duomo modenese: è il luogo dove, dalla sua cattedra, l’arcivescovo abate, presiede i sacramenti e proclama la parola del Signore; è il luogo in cui il seggio dell’abate, cioè la cattedra, esprime simbolicamente il suo ruolo di padre e guida della comunità cristiana.

La basilica non è un museo; è un luogo vivo, abitato dai fedeli, che qui si radunano. E’ il luogo dove si celebrano tuttora i misteri della fede e dove ci si può raccogliere in preghiera, avvolti nel silenzio della struttura. Ogni cristiano si sente qui a casa propria, respirando un’aria familiare.

Il titolo di abate oggi è portato a livello onorifico dallo stesso arcivescovo di Modena-Nonantola, che è pertanto successore del fondatore Sant’Anselmo: pur essendo state unite le due diocesi di Modena e Nonantola nel 1986, il ricordo della figura dell’abate vuole cogliere indubbiamente l’indicazione a non dimenticare le proprie radici, ad essere orgogliosi del proprio passato e a custodirlo come bene prezioso.

 

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