I SETTE SANTI DELL’ABBAZIA
SAN SILVESTRO I PAPA (31 DICEMBRE)
Il culto per San Silvestro è certamente il primo che si sviluppò in abbazia ed è legato all’arrivo delle sue reliquie a Nonantola nel 756, anno in cui i Longobardi le prelevarono furtivamente dalle catacombe di santa Priscilla lungo la Via Salaria. Le reliquie di papa Silvestro I rimasero nell’altare centrale della cripta, fino al 22 ottobre 1444, quando l’abate Gian Galeazzo Pepoli le traslò solennemente a motivo delle filtrazioni d’acqua che allagavano la parte bassa della chiesa e che poi portarono alla decisione di interrare la cripta. Fu allora che le reliquie sante furono collocate nel presbiterio della parte superiore, all’interno di un’apposita costruzione sopraelevata dell’abside di meridione, poiché l’altare maggiore già custodiva le reliquie di Sant’Anselmo e di Sant’Adriano III.
Una ricognizione delle ossa del santo papa fu eseguita il 24 settembre 1475, alla presenza del vescovo di Tripoli, per ordine dell’abate commendatario Gurone d’Este, a cui seguì una solenne esposizione fino al 3 ottobre dello stesso anno.
Il 23 febbraio 1580, su mandato dell’abate commendatario cardinale Guido Ferreri, venne inaugurato il maestoso mausoleo di San Silvestro, eretto dietro l’altare maggiore per legato testamentario del conte Guido Pepoli. Composto di tre parti sovrapposte, accolse le reliquie del titolare della basilica nella parte superiore, che presentava le storie del santo nelle otto formelle di marmo bianco dello scultore Jacopo Silla dé Longhi. La parte più bassa, invece, ospitò le reliquie dei santi nonantolani, ossia Anselmo, Adriano III, Fosca, Anseride, Senesio e Teopompo. La parte centrale fu destinata ad ospitare i preziosi pezzi che ancora oggi compongono il tesoro abbaziale. Fu grazie a questa custodia che i tre codici miniati dell’archivio, unici rimasti a Nonantola, poterono essere conservati a Nonantola, senza essere dispersi o ceduti ad altri. Erano, infatti, chiusi all’interno di questo mausoleo da due grate con lucchetti, le cui chiavi erano in possesso del solo abate commendatario e del priore del monastero.
La situazione restò tale fino al 1913, quando il monumento fu scomposto durante i lavori di ripristino dell’impianto romanico della basilica diretti da don Ferdinando Manzini. Le reliquie furono portate in sagrestia ed il 9 luglio 1914 ne fu fatta una ricognizione. In quell’occasione furono tolte dall’antica urna lapidea, oggi esposta presso le sale del Museo Benedettino e Diocesano d’arte sacra, e raccolte in una modesta urna lignea con vetri, per essere conservate nel palazzo abbaziale, nella cappella del seminario.
Successivamente, su iniziativa di monsignor Francesco Gavioli, lo scultore nonantolano Paolo Sighinolfi realizzò nel 1991 due teche di bronzo e vetri per ospitare una le reliquie di San Silvestro e l’altra le ossa degli altri santi nonantolani. Le teche furono poste nei due altari maggiori della basilica, quelle del papa nel presbiterio alto, e quelle dei santi nonantolani in cripta. Un avambraccio del santo papa fu prelevato nel 1372 per realizzare la lipsanoteca creata dall’orafo Giuliano da Bologna su incarico dell’abate Tommaso de’ Marzapesci, ora esposto presso il museo, oggetto liturgico ancora oggi utilizzato il 31 dicembre di ciascun anno, per impartire la benedizione solenne al paese di Nonantola.
Oltre alle lastre marmoree che decorano l’altare maggiore, la devozione a San Silvestro è testimoniata anche da due formelle dello stipite del portale di ingresso: una presenta il trasporto, delle reliquie del papa, da Roma a Nonantola, su una portantina sostenuta da due cavalli. L’altra, invece, raffigura da deposizione del corpo dentro un’arca all’interno della basilica. L’immagine del santo appare, poi, all’interno della basilica, nel grande affresco della parete sud, ai piedi della scala laterale che conduce sul presbiterio alto. Infine, San Silvestro è presente nel polittico di Michele di Matteo del XV secolo, un tempo collocato dietro l’altare maggiore ed oggi ospitato nel museo.
I monaci nonantolani diffusero il culto di San Silvestro in un gran numero di loro pertinenze, unendo in tal modo la valorizzazione del proprio santo titolare alla demarcazione dei propri territori.
SANT’ANSELMO ABATE (1 MAGGIO)
Anselmo è uno dei personaggi più imponenti del monachesimo dell’Alto Medioevo e l’unico santo longobardo di cui ci siano pervenute notizie certe.
Si suppone che Anselmo sia nato verso il 720 a Cividale o Vicenza, figlio di Wectari di Vicenza, duca del Friuli, era fratello di Giseltrada sposa di re Astolfo (749-756) e di Aidin con cui possedeva insieme, beni terrieri a Verona e Vicenza (documenti del 797 e 820).
Fu per qualche tempo anche duce del Friuli; nel 749, Anselmo però lascia tutte le attività e cariche politiche per dedicarsi ad una vita di santità; lascia il Friuli risalendo la valle dell’Alto Panaro, dove il cognato re Astolfo, gli dona la terra di Fanano e qui si ferma a fondare un cenobio per accogliere i monaci che ormai gli si erano radunati attorno e più in alto verso il passo di S. Croce Arcana, apre un ospizio per pellegrini che prende il nome di S. Jacopo di Val d’Amola.
L’opera di accoglienza dei pellegrini, molto numerosi nella valle, che era uno dei passaggi obbligati tra il Nord e la Toscana, costituisce un impegno primario e nessun pellegrino deve allontanarsi senza avere ricevuto con misericordia ogni assistenza.
Nel 751 il re Astolfo che comunque aveva mire espansionistiche, aveva occupata Ravenna e dona ad Anselmo un altro territorio di nome ‘Nonantolae’, che controllava le strade che da Verona e Piacenza scendevano a Bologna.
Il santo abate e i suoi monaci, si danno da fare per costruire una chiesa e il monastero, bonificando e coltivando quelle terre ormai abbandonate e incolte, producendo un vantaggio economico e sociale a tutta la regione. Nel 757 prese il potere del regno longobardo il bellicoso Desiderio: Anselmo venne rimosso da Nonantola ed esiliato a Montecassino. Non sappiamo quanto sia durato tale esilio, forse fino al 774 quando Carlo Magno assoggettò i Longobardi.
Anselmo, dopo una breve malattia, circondato dai suoi monaci a cui rivolse le ultime esortazioni e diede un’ultima benedizione, spirò tra le loro braccia, a Nonantola il 3 marzo 803.
SANT’ADRIANO III PAPA (8 LUGLIO)
Molto poco conosciamo invece della vita di S. Adriano III.
Il Liber Pontificalis ci dice soltanto che era romano, figlio di Benedetto, e che governò la Chiesa per un anno soltanto, dall'884 all'885.
I pochi dati biografici riguardano il racconto della sua morte, della sepoltura e dei miracoli compiuti.
Gli Annales Fuldenses all'anno 885 riferiscono della partenza di Adriano III da Roma, della sua morte e sepoltura nel monastero di Nonantola.
Nell’anno 885, mentre si dirigeva verso la Germania per incontrare l’imperatore Carlo il Grosso, papa Adriano III trovò la morte in un luogo definito dalle fonti “Wilzachara”, corrispondente verosimilmente ai luoghi dove oggi sorgono Spilamberto e San Cesario sul Panaro, terre di proprietà dell’abbazia.
Il suo corpo venne solennemente traslato a Nonantola, dove fece ingresso dalla porta della Torre dei Bolognesi, e sepolto nel monastero nonantolano.
Difficile è collocare l’origine del culto per il secondo papa venerato a Nonantola.
E’ certo che la morte del pontefice nel territorio nonantolano e la sua sepoltura nella chiesa abbaziale devono avere favorito un certo rispetto ed una certa venerazione del popolo e dei monaci nei suoi confronti.
SANTI SENESIO E TEOPOMPO MARTIRI (21 MAGGIO)
Povere sono le notizie storiche relative ai due martiri. Di certo possiamo dire che, sulla base dei Sinassari orientali, che essi facevano parte dei 3.000 cristiani che subirono il martirio nel 303 durante l’ultima persecuzione di Diocleziano a Nicomedia, l’attuale cittadina di Izmit, presso Costantinopoli.
Stando ad un’antica tradizione, Vescovo di Nicomedia, fu sottoposto a molteplici supplizi per indurlo all’abiura, come il fuoco, l’avvelenamento, l’accecamento, rimanendo miracolosamente illeso. Il giudice, volendo dimostrare che tali prodigi erano alla portata anche dei pagani, convocò il mago Teonas, il quale, però, non solo si dichiarò vinto, ma chiese di aderire al Cristianesimo: pertanto, egli ricevette il battesimo dallo stesso vescovo Teopompo, che gli impose il nome di Senesio. I due subirono il martirio insieme: Teopompo fu decapitato mentre Senesio venne sepolto vivo. Il culto per i due martiri si estese non solo in Oriente, ma anche in Occidente.
Il culto dei martiri Senesio e Teopompo probabilmente si diffuse all’inizio dell’XI secolo ed è, dopo quello per Silvestro, il più ricorrente nei testi liturgici nonantolani dei secoli XI-XII: l’Evangeliario della Contessa Matilde di Canossa, conservato nel tesoro dell’abbazia, riporta un Oremus per la festa dei Santi Senesio e Teopompo, “quorum hic corpora pio amore amplectimur”; la festa dei santi martiri è celebrata nel Graduale dell’XI secolo.
Stranamente, però, mentre le figure di Anselmo, Adriano e Silvestro si succedono nelle formelle del portale della basilica, non è rimasta alcuna traccia iconografica del culto di questi santi.
La Traslatio nonantolana narra che fin dal 780 il conte Gerardo aveva fondato a Treviso la chiesa di Santa Fosca e l’aveva sottoposta al cenobio nonantolano. Dopo che gli Ungari ebbero devastato quella chiesa, l’abate Pietro III (907-913) provvide a fare trasferire i corpi dei Santi Senesio e Teopompo, lì sepolti, a Nonantola.
Ciò avvenne intorno al 911. Le reliquie erano state amorosamente custodite in un luogo segreto da una certa Anseride, definita “Dei ancilla”, e in questo modo sottratte alla furia dei barbari.
Quando esse giunsero a Nonantola avvennero molti miracoli, dei quali solo alcuni vengono narrati: in genere si tratta di guarigioni collettive o miracoli atmosferici, avvenuti portando in processione i santi corpi.
Il trasporto delle reliquie era un fatto abituale, da quanto il testo agiografico ci lascia comprendere: per fare cessare epidemie, per chiedere un buon raccolto, o semplicemente acqua per irrigare i campi. Ricordiamo in particolare il miracolo compiuto intorno alla metà del X secolo a Pavia, dove si diffuse una terribile pestilenza: vennero allora richieste in prestito al monastero nonantolano le reliquie dei due Santi, considerate taumaturgiche. Un corteo di moltissime persone accompagnò le spoglie alla città colpita dal flagello e subito la malattia scomparve.
La città di Pavia avrebbe allora, in segno di riconoscenza per il beneficio ricevuto, donato al monastero la preziosa cassetta, che ancora oggi custodisce i crani dei Martiri. Una cronaca del 1100 riferisce che in occasione di una grande pestilenza anche gli abitanti di Modena sarebbero venuti a prelevare la lipsanoteca e l’avrebbero esposta per la venerazione in duomo; lo stesso avrebbero fatto per la grande pesta del 1630, di manzoniana memoria.
Nell’anno 830 una parte delle reliquie dei due martiri furono prelevate da Treviso e portate da San Ratoldo a Radolfzell, sul Lago di Costanza, paese con cui Nonantola condivide un gemellaggio spirituale per la custodia e la venerazione dei corpi dei due martiri.
SANTA FOSCA VERGINE E MARTIRE (13 FEBBRAIO)
Scarsissime sono le informazioni a nostra disposizione.
Il martirio avvenne al tempo della persecuzione dell’imperatore Decio (III secolo).
A Nonantola è venerata una piccola reliquia della santa.
Il suo corpo riposa al Torcello a Venezia.
SANT’ANSERIDE VERGINE (26 APRILE)
Il suo nome ed il suo culto non ebbero mai grande diffusione se non in ambito locale: la sua vicenda è strettamente connessa al racconto della traslazione dei resti dei santi Senesio e Teopompo dalla chiesa di santa Maria di Treviso a Nonantola. La sua figura è esaltata poiché si adoperò per la salvaguardia delle preziose reliquie dei martiri nascondendole durante il funesto periodo delle invasioni ungariche. La vicenda comprende il racconto di un evento miracoloso secondo il quale l’imbarcazione sulla quale i monaci nonantolani – incaricati dall’abate Pietro III di recuperare le reliquie – si stavano allontanando da Treviso, fu respinta al punto di partenza da un forte vento per dar modo ad Anseride di accompagnare le reliquie nel loro viaggio verso Nonantola. Qui giunse Anseride, conducendo una vita ritiratissima, dedita alla preghiera ed alla contemplazione, vivendo in una modestissima abitazione.
L’INSIGNE RELIQUIA DELLA SANTA CROCE
Secondo le fonti attualmente a nostra disposizione, la reliquia della Vera Croce fu lungamente cercata con cura da S. Elena, e quando fu certa di averla ritrovata e sicura della sua provenienza ne fece tre parti: una la lasciò alla Chiesa di Gerusalemme, un’altra la inviò a Roma e la terza la mandò a suo figlio, imperatore di Costantinopoli.
Quest’ultima giunse poi a Nonantola poiché l’imperatore la donò, in segno di gratitudine, ad alcuni monaci recatisi a Costantinopoli per un’ambasceria in rappresentanza di Carlo Magno e degli imperatori carolingi. Il legno misura 29 cm di altezza e 18 di larghezza, ed ha uno spessore di 2 cm. La prima elaborazione del legno risale al X-XI secolo, ed è in stile bizantino.
Una lamina d’oro pallido la avvolge, lasciandovi un’apertura cruciforme sulla facciata, permettendo di vedere il sacro legno. Sulla faccia anteriore vi sono cinque dischetti circolari contenenti particelle di terra dei luoghi della Passione di Cristo.
Sul retro vi sono sei dischi smaltati raffiguranti le effigi di Santi della Chiesa Orientale. La stauroteca esterna fu realizzata nel 1679 per volontà dell’abate commendatario cardinale Jacopo Rospigliosi. Il piede, invece, fu creato dall’orafo bolognese Finelli durante l’abbaziato del cardinale Sebastiano Antonio Tanara.
La devozione dei nonantolani per questa insigne reliquia si è manifestata soprattutto quando la nostra terra fu colpita da calamità. Sono diverse le attestazioni di speciali processioni compiute in difficili circostanze. Ricordiamo, ad esempio, quella del 10 Giugno 1755 per ottenere una tanto attesa pioggia, raccontataci da Don Andrea Placido Ansaloni. Fin dalla notte precedente al giorno fissato per la processione penitenziale cominciarono ad affluire a Nonantola genti da ogni dove.
Molto numerosa ed ordinata fu la partecipazione delle Confraternite di Crevalcore, Castelvetro, Camposanto, Camurana, Cavezzo, San Pietro in Elda, Sassuolo e Modena. Compatta fu la partecipazione delle Confraternite di Nonantola, Redù, Bagazzano, Rubbiara, Gaggio, Recovato, Rastellino e Panzano. In tutto intervennero 76 Confraternite con 117 stendardi. Alle 10.30 venne celebrata la Santa Messa in canto gregoriano alla presenza di tutte le autorità ecclesiastiche, civili e militari. Dopo la Messa seguì la processione, a cui partecipò anche il Vescovo di Modena ed il Vicario dell’Abate commendatario cardinale Albani. Il corteo uscì dall’Abbazia accompagnato dalla banda musicale, si avviò verso la Partecipanza seguendo Via Prati.
Giunto all’incrocio con Via Cantone si fece una sosta e venne impartita una prima benedizione col legno della Croce; poi, seguendo Via di Mezzo, si tornò in paese, dove venne data una seconda benedizione nella piazza centrale. Alle 14,30 il corteo giunse davanti all’Abbazia, e qui venne data una terza ed ultima benedizione. Fu allora che iniziò a scendere la pioggia, tra il giubilo dei partecipanti. Si calcolò che la folla intervenuta a Nonantola in quell’occasione superasse le tremila persone.
Oggi la stauroteca della Santa Croce è custodita nel Museo Benedettino e Diocesano d’Arte Sacra ed è esposta all’adorazione dei fedeli il 14 Settembre di ciascun anno, Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, ed il Venerdì Santo, durante la Solenne Azione Liturgica della Passione del Signore, a cui segue una processione serale per le vie del centro storico di Nonantola.